lunedì 28 dicembre 2020

SOCIOLOGIA: relazioni di genere e consumismo nella società postmoderna


 I profondi cambiamenti della società post-moderna hanno investito anche la famiglia e i ruoli di cui essa si compone, questi ultimi sono infatti stati caratterizzati da una maggiore individualizzazione al loro interno. L’aspetto più evidente è la crisi dei ruoli tradizionali, ossia il progressivo venir meno di una rigida distinzione dei compiti secondo il genere. Innanzitutto vi è stata una maggiore partecipazione femminile al mondo del lavoro, con una conseguente emancipazione culturale della donna, che ha determinato una minore rigidità nella determinazione dei ruoli in funzione del genere. Tutto questo si accompagna ad una più ampia condivisione familiare delle scelte e delle responsabilità, oltre che l’emergere di una nuova soggettività maschile. Tale processo ha infatti dato l’avvio a ripensamenti in quelli che sono i modelli identitari maschili: molti studi hanno infatti evidenziato come gli uomini abbiano dovuto rinunciare a una parte della propria identità, più sensibile e  profonda, incline alla formazione di relazioni sociali, costretti a non dare peso alla parte emotiva, ritenuta di inclinazione maggiormente femminile.

Nella società post-moderna inoltre il consumo è diventato una delle attività prevalenti della vita quotidiana: essenzialmente ogni aspetto della vita si basa sull’acquisto di un bene o di un servizio e l’uso di questi ultimi. Dal secondo dopoguerra in poi si è verificata una progressiva estensione della capacità di consumo a strati sempre più ampi della popolazione. Se infatti all’origine della società industriale il consumo riguardava gruppi limitati di persone appartenenti a ceti sociali elevati, nel corso del Novecento si è rapidamente diffuso a gruppi molto più ampi di persone appartenenti ad ogni strato sociale. L’offerta di prodotti industriali è infatti moltiplicata e è necessario differenziarla in base alle caratteristiche specifiche della merce. Proprio per questo motivo è nata la pubblicità, parallelamente a quel fenomeno che chiamiamo consumismo e che corrisponde alla tendenza a comprare molte più cose di quelle che sono effettivamente necessarie. 

Il consumismo nella post modernità presenta alcune caratteristiche evidenti:

  • Le marche e i brand sono uno strumento di comunicazione: i consumatori con le loro scelte d’acquisto raccontano qualcosa di sé e agli altri.
  • Le aziende propongono stili di vita e immagine globalizzate, ma contemporaneamente i consumatori selezionando tra i marchi globali costruiscono la propria immagine.
  • Il consumo favorisce un repertorio pressoché infinito di possibilità, ma proprio a causa di questa sua mutevolezza diffonde un diffuso senso di incertezza.

SOCIOLOGIA: la società postindustriale


 La società post industriale prevede anche trasformazioni circa la distribuzione dell’occupazione fra i diversi settori di attività. Si registra infatti in tutti i paesi industrializzati un continuo espandersi del settore terziario a discapito dell’industria e dell’agricoltura, fenomeno che viene comunemente definito “terziarizzazione dell’economia”. 

La percentuale di coloro che lavorano nell’agricoltura e nell’industria è ad oggi minima ed è parallelamente aumentata la quantità di lavoratori che trovano impiego nel terziario. Le società occidentali odierne vengono spesso definite anche società post industriali, infatti in esse il processo di industrializzazione è giunto al termine e ha lasciato posto a quello di terziarizzazione.

Ciò ha chiaramente portato ad un tenore di vita più elevato rispetto al passato, non a tutti però tale fenomeno ha portato maggiore benessere: infatti ha comportato un atteggiamento flessibile verso l’attività lavorativa con una conseguente progressiva sostituzione delle forme di lavoro stabili, con forme sempre più precarie (flessibilizzazione del lavoro). Se questo fenomeno si verifica utile per le imprese che riescono a ridurre le proprie spese, per i lavoratori si traduce in esperienze di lavoro precarie, contratti a termine e part-time non voluti. 

In parallelo si sta diffondendo negli ultimi anni un nuovo approccio al lavoro e all’attività economica, basato su relazioni collaborative: sono nate infatti i nuovi forme di attività economica basata sulla condivisione di beni e servizi: si tratta di un’economia collaborativa e della condivisione, conosciuta come sharing economy. 

SOCIOLOGIA: la postmodernità


 Il concetto di post moderno fu fondato da Jean François Lyotard sul finire degli anni 70. Con il termine post modernità egli sottintende la “fine delle grandi narrazioni”. Nel corso della storia tutte le società si sono basate su grandi interpretazioni del mondo, definite narrazioni, quali per esempio i poemi omerici, la Bibbia la filosofia di Karl Marx e con il termine “fine” di queste ultime si intende come esse non abbiano più presa sulle persone. La cultura post moderna si caratterizza infatti per essere anti utopica, ossia priva di grandi ideali e caratterizzata da un profondo scetticismo.

Sul termine post moderno è nato un importante dibattito circa il suo utilizzo: vi sono infatti coloro che rifiutano il termine post moderno, poiché sembra una dichiarazione di fallimento della modernità e all’estremo opposto troviamo invece chi accetta questa terminologia, ritenendola anzi adatta per descrivere la cultura contemporanea sottolineandone la frammentazione, la molteplicità di riferimenti contraddittori e il dissolvimento dei valori di un tempo. 

Possiamo individuare quattro caratteristiche fondamentali della posto modernità:

  • La centralità del sistema di informazione comunicazione: lo sviluppo delle tecnologie ha fatto sì che l’informazione diventasse il principale mezzo di produzione oltre che la merce più ricercata, la società contemporanea è infatti chiamata società della conoscenza.
  • La tendenza alla globalizzazione e alla frammentazione: se da un lato in tutto il mondo sembrano prevalere stili di vita simili, veicolati dai media, dall’altro emergono fenomeni di attaccamento ad appartenenze culturali diverse.
  • L’accettazione della diversità: l’uomo post moderno convive con l’ambivalenza e con la costante condizione di mutevolezza di ogni riferimento culturale e valoriale.
  • Un diffuso clima di incertezza e di fragilità dei progetti personali: qualunque scelta può essere facilmente revocata e non ci si aspetta più nulla di definitivo.

PEDAGOGIA: verifica a pag. 355-356

 1

  1. Severe misure contro l’inadempienza dell’obbligo scolastico furono prese nel 1877 in Italia dal ministro Coppino.
  2. La durata dell’obbligo scolastico era del 1877 di tre anni e fu portata a sei dopo il 1904.
  3. Una delle conseguenze della diffusione dell’istruzione elementare in Italia tra la fine dell’ottocento e l’inizio del 900 fu l’indebolimento dell’influenza dello Stato liberale sulla società.
  4. La figura del docente di ginnastica fu prevista nelle scuole italiane a partire dal 1878.
  5. L’igiene compare nei programmi scolastici della scuola elementare nel 1894.

Alfabetizzazione: molteplicità di processi con cui ci si impadronisce del leggere, scrivere e far di conto.

Secolarizzazione: frequentazione della scuola.

Censimento: Rilevazione statistica diretta ad accertare l'entità e le condizioni di una collettività in un dato momento.

Istruzione dei soldati o scuole reggimentali

È impartita in tutta l’Italia dopo l’esperienza già realizzata nel Piemonte preunitario; nel 1869 si restituisce l’obbligo di frequenza.

Istruzione degli adulti nelle Società di mutuo soccorso

È un’iniziativa finanziata dal Comune o da privati benefattori che intendeva la diffondere scuole serali e festive; sono gestite dai maestri e dalle maestre che la mattina insegno ai bambini.

Istruzione tecnica popolare

È diffusa perlopiù nel triangolo industriale dell’Italia del Nord per iniziativa degli imprenditori che necessitano di manodopera specializzata nei nuovi impianti industriali.

Istruzione agraria popolare

È finanziata dai comuni e dal ministero dell’agricoltura per diffondere nelle campagne la conoscenza e l’uso di nuove tecniche agricole più redditizie per facilitare l’introduzione di nuove macchine.

Posizioni culturali, politiche e religiose

Sono attive specialmente tra operai e artigiani con scopi previdenziali e rivendicativi di diritti sul modello dei sindacati odierni. 

A partire dal secondo ottocento vi furono importanti trasformazioni riguarda le figure educative dell’istruzione. Nacque infatti la figura del maestro elementare, che per quanto fosse già esistente subì forti trasformazioni, si costituì progressivamente un gruppo di persone professionalmente dedicata all’insegnamento primario: essi seguivano un regolare percorso di studi, al termine del quale riuscivano a vivere dell’attività di docente, organizzandosi in associazioni e cominciando ad identificarsi in una vera e propria professione. La crescita delle insegnanti donne fu in questo periodo impetuosa, si trattava infatti della prima chances per esse di diventare indipendenti e autonome. 

La professione magistrale si rivelò sempre meno attraente per gli uomini, inoltre le maestre sembravano più adatte ad occuparsi dei bambini in quanto innanzitutto meno inclini alla politicizzazione e in secondo luogo per via della metafora che vedeva le maestre come come “Madre educatrici”, per la loro naturale disposizione al rapporto con il bambino. Anche sotto il profilo dell’educazione affettiva ed etica la presenza dell’insegnante donna veniva vista come un’estensione della cura materna verso i figli. Il maestro e la maestra godettero per tutto il XIX secolo di una popolarità e di una stima sociale in quanto venivano percepiti come fattori di progresso e punti di riferimento per l’intera comunità.



domenica 27 dicembre 2020

PEDAGOGIA: domande a pag. 350-353

 350

  • Le scuole reggimentali sono le scuole per soldati, le quali si diffusero rapidamente a partire dal 1869, anno nel quale fu introdotto anche l’obbligo di frequenza.
  • Vennero intraprese diverse iniziative per l’istruzione degli adulti, tra le quali le scuole serali e festive, gestite dagli stessi insegnanti che insegnavano ai bambini e che erano finanziate da Comuni e privati.
  • La necessità di un’istruzione tecnica diventò sempre più preponderante, infatti in questo periodo nascevano nuove forme di produzione industriale, in particolare nel triangolo piemontese-lombardo-ligure. Apparivano dunque in molti casi necessarie competenze avanzate in campo meccanico, elettronico e chimico, alle quali si poteva accedere solo se si disponeva già di una buona alfabetizzazione.
  • Anche il ruolo dei cattolici fu interessante ed importante per l’alfabetizzazione, essi concorsero infatti allo sviluppo di quest’ultima, non solo nell’infanzia e nell’educazione femminile, ma anche nella preparazione professionale di giovani ed adulti. Anziché allontanarsi dai nuovi valori della società moderna, sempre più vicina a principi laici, decisero comunque di spendersi e di impegnarsi per intrecciare i nuovi valori portati dalla modernità con quelli tradizionali della cultura cattolica.

353

  • Nel corso dell’Ottocento cambia profondamente la figura del maestro, e nasce infatti la figura moderna del maestro elementare. Si trattava di gruppi di persone professionalmente dedicate all’insegnamento primario che seguivano un regolare percorso di studi, organizzandosi in associazioni e identificandosi in una vera e propria professione.
  • Le donne iniziarono ad essere ritenute più adatte all’occupazione di maestra in quanto innanzitutto risultavano meno inclini alla politicizzazione, inoltre era diffusa la metafora della maestra come “madre educatrice”, l’insegnamento veniva pertanto visto come la prosecuzione dell’educazione affettiva ed etica vista come un’estensione della cura materna verso i figli.
  • Negli anni successivi all’unità d’Italia si stabilizzò la professione di educatore dei sordomuti e dei ciechi oltre che quella di educatori di soggetti portatori di malformazioni fisiche e patologie del sistema scheletrico. Inoltre alla fine del secolo verranno aperti i primi istituti per i soggetti disabili, a partire dalle iniziative di personalità come Tommaso Pendola, Gaetano Pini, Giuseppe Montesano e Maria Montessori.
  • Nel corso di questo periodo quella del medico diviene una figura simbolica, fondamentale soprattutto per la popolarizzazione della cultura medico-igienica. Molti medici si occuparono della scrittura di testi scritti e manuali destinati a maestri e allievi nei quali si trattava la tematica dell’igiene, che divenne nel giro di poco uno specifico ambito dell’azione educativa, facendo la sua ufficiale comparsa nella scuola elementare nel 1894. 

PEDAGOGIA: domande pag. 346-347

 346

  • La diffusione dell’istruzione, associata a forti sentimenti patriottici, fu individuata da subito come un’iniziativa particolarmente idonea per creare un tessuto omogeneo finalizzato ad unire popolazioni che si sentivano più legate a vincoli locali che nazionali; Anche la leva obbligatoria e dunque l’esperienza dell’esercito rappresenta un fondamentale tassello per unificare i giovani italiani, infatti offriva loro la possibilità di partecipare alla retorica patriottica ma anche di entrare in contatto con i propri coetanei di regioni diverse.
  • L’alfabetizzazione incontrò diverse difficoltà, infatti parecchi erano i bambini che non frequentavano o abbandonavano precocemente la scuola. La lotta contro l’ignoranza dovette misurarsi con difficoltà di ogni genere: arretratezza dell’economia, povertà della popolazione, squilibri nella distribuzione delle scuole sul territorio, indifferenza della famiglia, timore della classe dirigente che l’eccessiva alfabetizzazione potesse scatenare conseguenze sociali imprevedibili.
  • I termini alfabetizzazione e scolarizzazione non sono sinonimi: con il termine alfabetizzazione si considera la molteplicità di processi con cui ci si impadronisce della capacità di leggere, scrivere e far di conto, mentre con il termine scolarizzazione si intende la frequentazione della scuola.

347

  • Il modello dell’istruzione ottocentesca si diversifica dalla scuola dei tempi passati, in quanto è legato ad una frequentazione obbligatoria, non più gestita da personale religioso, ma laico. Ogni espressione della vita sociale diventa direttamente organizzata dallo Stato.
  • In questo periodo esisteva in Italia un forte divario tra Nord e Sud della penisola: innanzitutto le scuole erano molto più numerose nel Nord Italia e molto meno diffuse nel sud, dove si registrava di conseguenza il tasso di analfabetismo più elevato della media nazionale.
  • La scolarizzazione femminile crebbe nel primo decennio del XX secolo maggiormente rispetto a quella maschile, giustificata dal fatto che l’alfabetizzazione femminile partiva da un punto di partenza molto più basso e continuava peraltro a risentire di un aspetto qualitativo di livello molto più basso.

PEDAGOGIA: Antonio Rosmini e Don Bosco




 Nei decenni precedenti all’unificazione dell’Italia, forte diventò la presenza e l’importanza dei pedagogisti e degli educatori di formazione cattolico liberale, i quali ritenevano possibile la conciliazione tra la fede religiosa e liberalismo politico. La personalità di maggior spicco tra i cattolici liberali fu Antonio Rosmini, nato a Rovereto nel 1797. Rosmini elaborò un pensiero basato essenzialmente sulla salvaguardia della dimensione trascendente dell’antropologia cristiana, partendo dalla meditazione sull’uomo. Interessanti furono le sue riflessioni sul concetto di persona, fulcro della sua concezione filosofica: Rosmini affermò infatti una visione spiritualistica della persona in cui l’uomo è immagine di Dio ed emerge come valore intrinseco. Egli rinnovò alcune istanze fondamentali dell’educazione cristiana, vedendo l’uomo come insieme di principio unitario di intelligenza, di sentimento e di volontà. L’uomo è dunque capace di intendere, di sentire e di volere ed è proprio nel perfezionamento della volontà che si perfeziona l’uomo sul piano morale, ma anche integrale. La pedagogia viene dunque vista come la disciplina in grado di “ordinare la vita dell’uomo”. L’educazione e l’istruzione diventano dunque necessità e sono viste pertanto come diritti inalienabili della persona. Con il suo pensiero fortemente antropologico, Rosmini antepose la formazione della persona a quella del cittadino.

Proprio i cattolici liberali, come Rosmini, sostennero un progetto che si basava sull’idea di sottrarre l’organizzazione scolastica alle congregazioni religiose per ricondurla sotto il controllo dello Stato. L’intervento dello Stato era infatti visto come una garanzia affinché l’educazione della persona fosse effettivamente riconosciuta come un diritto. 

Fu inoltre predisposto un vasto piano per la preparazione degli insegnanti.

Nel frattempo a Torino nel 1846 venne avviato da don Giovanni Bosco un oratorio per giovani, che rispettava perfettamente le definizioni di quella che era la “pedagogia povera“. Tre erano i principi attorno ai quali si basava l’ideologia di Don Bosco: 

  • Prendersi cura dei giovani;
  • L’educazione preventiva: la società doveva prendersi cura dei giovani predisponendo apposite iniziative al loro servizio; 
  • La valorizzazione del tempo libero, che doveva essere educativo; 

Negli ultimi decenni dell’800, lo scenario educativo si arricchì ulteriormente grazie agli apporti dei socialisti, i quali miravano a sviluppare nell’individuo forti sentimenti altruistici, fondando una coscienza basata sulla solidarietà e ispirata ai valori collettivi previsti da Karl Marx e, sul piano scolastico, difesero l’utilità degli asili, visti come sostegno assistenziale per le madri lavoratrici, istituendo anche le mense scolastiche e aiuti economici ai più indigenti.

PEDAGOGIA: educazione nazionale e Giuseppe Mazzini


 La formazione dell’Italia unita dovette fare i conti con diverse difficoltà, innanzitutto la diffusa ignoranza della popolazione, che non riusciva a capire che cosa volesse dire l’ “unità d’Italia“ e che percepiva l’obbligo scolastico come un’oppressione. “Fatta l’Italia“ occorreva “fare gli italiani“: questa celebre frase di Massimo d’Azeglio esplica la situazione italiana del periodo post unitario. Era necessario trasmettere al popolo i nuovi valori della società borghese e liberale, la società della modernità. Il primo a sottolineare il rapporto fra il problema nazionale e la diffusione della scuola e dell’educazione popolare fu Vincenzo Cuoco. Secondo Cuoco era necessario creare un sistema educativo aperto anche al popolo mediante una scuola rivolta non solo ai ceti benestanti, ma anche a quelli inferiori. Suggerì dunque una doppia organizzazione scolastica, infatti a sua detta “la mente dell’abitatore della campagna è diversa da quella dell’abitatore della città”, dunque anche i metodi di insegnamento devono necessariamente essere diversi. Cuoco  ha dunque saputo prospettare soluzioni concrete e coerenti con le esigenze del suo tempo, tenendo conto dell’effettivo contesto storico in cui si trovava a vivere. 

Anche Giuseppe Mazzini contribuì significativamente al rinnovamento politico dell’Italia, affiancando ad esso una questione sostanzialmente etica ed educativa: senza la formazione di un popolo consapevole risultava impossibile pensare al “Risorgimento” dell’Italia. Fu così che nel 1831 Giuseppe Mazzini fondò la Giovine Italia e in seguito la Giovine Europa, un’organizzazione con lo scopo di creare una generazione di giovani patrioti non soltanto cospiratori (come nel caso della Carboneria). 

Mazzini lega la passione politica, l’educazione del popolo e la formazione della coscienza personale all’interno di un unico sistema: centrale nella sua riflessione è il concetto di “pensiero e azione”, ossia una consuetudine alla solidarietà, al sacrificio personale e al sentimento del dovere. L’educazione del popolo doveva dunque essere finalizzata essenzialmente alla preparazione politica e alla partecipazione democratica di tutti gli individui alla vita dello Stato. I “doveri” dei cittadini dovevano essere basati sul rispetto dei principi su cui si basava la tradizione nazionale, dunque consistevano nella subordinazione volontaria del cittadino all’autorità dello Stato.  

sabato 26 dicembre 2020

PEDAGOGIA: Friedrich Froebel e i Giardini d’infanzia


 Friedrich Froebel propose un’approccio all’infanzia molto vicino alla modernità: il bambino viene visto come un soggetto che non va più unicamente alfabetizzato, ma al quale si riconosce anche il diritto di giocare e di apprendere attraverso il gioco. 

Secondo la visione di Froebel l’intera natura è guidata da un’anima, ossia da una forma di intelligenza immanente, che non esiste dunque separatamente e indipendentemente da un’altra realtà e che regola sia la forma sia l’evoluzione delle cose. Froebel assiste Pestalozzi nella sua attività e nel 1817 apre la sua prima scuola a Keilhau, basata su quello che secondo lui è lo scopo dell’educazione: la conoscenza della natura. 

L’educazione è da configurarsi come sostengo dell’autorealizzazione personale, tramite essa infatti ciascun soggetto acquisisce la propria forma di identità personale. 

Froebel realizza un paragone tra la crescita dei bambini e la crescita delle piante, su cui basa la propria proposta di educazione infantile nei termini di un “giardino”. Fondamentale nella pedagogia di Froebel è il gioco, concepito come l’attività che permette al bambino di crescere secondo i suoi ritmi e di cogliere l’essenza della realtà. Il gioco è il baricentro dell’educazione infantile ed è visto come lo strumento in grado di favorire l’espressione in maniera creativa, in stretto rapporto con il linguaggio. Sulla base di questa teoria, Froebel sviluppa l’idea di “doni”. Si tratta di giocattoli dotati di un potere simbolico che permettono al bambino di comprendere le leggi che regolano il mondo. I doni seguono una logica sequenziale: Il primo è una palla elastica, il secondo una sfera con un cubo di legno in un cilindro, il terzo è un cubo diviso in otto piccoli cubi e il quarto è un cubo distribuito in tavolette di spessore e lunghezza diverse. Lo scopo è quello di rispondere al bisogno del bambino di manipolare oggetti grandi e piccoli, al fine di conoscere le cose che lo circondano. Il progetto di educazione infantile proposto da Froebel, sembrava però troppo innovativo e soltanto qualche decennio dopo i Kindergarten conobbero migliore fortuna. 

PEDAGOGIA: il sentimento dell’infanzia e Ferrante Aporti


 Fin dall’inizio del XIX secolo si registra una forte attenzione per il bambino e la sua educazione, conosciuto come “sentimento dell’infanzia“. L’infanzia viene riscoperta come un’età in cui il mondo è visto attraverso gli occhi dell’ingenuità e del sentimento e il bambino viene dunque visto come un soggetto da correggere amorevolmente. Dopo il 1815 la quota di popolazione infantile aumentò in modo esponenziale, conseguentemente a ciò vi fu un forte incremento di fenomeni come l’accattonaggio, il vagabondaggio e l’abbandono dei figli a causa dell’estrema povertà da cui le famiglie erano colpite. All’incremento di tali fenomeni conseguirono anche il lavoro femminile extra casalingo, che faceva sì che le donne dovessero trovare nuove forme di assistenza per i propri figli: spesso toccava dunque ai figli maggiori accudire i fratelli più piccoli. Tale fenomeno era accompagnato dal precoce ingresso dei bambini nelle fabbriche, che comportava però molteplici rischi: sfruttamento economico e ambienti di lavoro malsani (inquinamento).

Fu così che a partire dal 1815 comparvero in Europa molte iniziative educative ed assistenziali in favore dei bambini e dei ragazzi, a partire dalla moltiplicazione delle scuole infantili. 

Le prime iniziative scolastiche vennero avviate in Inghilterra e in Francia, ma importante fu anche il panorama italiano, grazie per esempio all’apporto di Ferrante Aporti. Nel 1828 l’abate aprì una scuola infantile per bambini dai due anni e mezzo ai sei, elaborando per la prima volta in Italia, una vera e propria pedagogia dell’infanzia nel Manuale di educazione ed ammaestramento per le scuole infantili

Aporti ripose molte speranze nella formazione precoce dei bambini più piccoli: secondo lui molte delle difficoltà incontrate dai bambini frequentanti nelle scuole elementari erano derivanti da una mancata preparazione pre scolastica. I bambini più piccoli dovevano essere dunque avviati alla prima elementare quanto prima possibile. Nella sua pedagogia Aporti fu molto attento all’impiego appropriato della lingua e insistesse con forza anche sulla pulizia e sulla cura del corpo e degli abiti oltre che su un’alimentazione sana da proporre ai bambini.  Inoltre le punizioni risultavano completamente escluse dal progetto di Aporti, che proponeva invece castighi quali l’ammonimento e l’isolamento. La sua proposta risultava essere fortemente innovativa per il tempo ed ebbe di conseguenza una rapida fortuna. L’aportismo cominciò a declinare soltanto successivamente all’uscita delle teorie proposte dal pedagogista tedesco Friedrich Froebel, più attente alle esigenze psicologiche dei bambini. 

mercoledì 2 dicembre 2020

PEDAGOGIA: verifica a pagina 305-306

 Verifica pag. 305-306

1

  1. Nell’ottocento, uno dei fattori che condizionarono la nuova visione dell’infanzia fu la concezione romantica, che associava al bambino i caratteri di ingenuità e di libera affettività. 
  2. Le prime scuole specificamente destinate ai bambini furono aperte intorno al 1815 in Inghilterra e in Francia.
  3. Nelle aree industriali, i bambini dei ceti popolari di solito frequentavano gratuitamente scuole organizzate dal Comune.
  4. L’abate italiano ferrante Aporti proponeva la formazione precoce del bambino, dunque l’anticipazione della scuola elementare.
  5. Secondo Froebel il bambino era come una giovane pianta, che ha un suo proprio sviluppo.

2

  • Ambiente dialettofono: Ambiente nel quale si parlava prevalentemente in dialetto; dunque l’italiano veniva imparato con l’ingresso a scuola.
  • Kindergarten: asilo, luogo nel quale venivano messe a punto pratiche educative particolarmente efficaci che risentivano dell’influenza di Rousseau e la Naturphilosophie. 
  • “Pedagogia povera”: una pedagogia composta da pratiche educative predisposte in modo pratico, così da rispondere alle esigenze dirette dei ragazzi: assistenza materiale, ospitalità, istruzione e avviamento al lavoro.

Età degli scolari: due anni e mezzo-sei anni

Obiettivi della scuola: assistenza materiale e sviluppo intellettuale e morale degli alunni.

Contenuti dell’apprendimento: alfabeto, lettura, scrittura, calcolo; grande attenzione alla lingua.

Cura del corpo: esercizio fisico sotto forma di gioco; importanza della pulizia e delle sane abitudini alimentari.

Metodo di insegnamento: apprendimento tramite modelli esemplari; valorizzazione dello spirito imitativo.

Disciplina: ricorso a castighi quali l’ammonimento, isolamento temporaneo del gruppo dei pari, privazione del gioco.


Il gioco fu concepito da Froebel come il baricentro dell’educazione infantile: viene visto come lo strumento in grado di favorire l’espressione in maniera creativa, rimanendo in stretto rapporto con il linguaggio. Su queste basi Frobel elaborò l’idea di “doni”, ossia giocattoli dotati di potere simbolico che sarebbero stati utili al bambino per comprendere le leggi che regolano il mondo.

I doni seguivano una logica sequenziale: il primo era una palla elastica e, una volta che il bambino avrebbe imparato a padroneggiarla, sarebbe stato in grado di familiarizzare sempre di più con le proprietà fondamentali dei corpi. Il secondo dono era invece una sfera in un cubo di legno, che aveva come figura intermedia un cilindro; in questo caso gli esercizi compiuti con questi oggetti avevano lo scopo di dimostrare al bambino l’armonia tra contrari. Il terzo era invece costituito da un cubo diviso in otto piccoli cubi e il quarto era un cubo distribuito in tavolette di spessore e lunghezza differenti. In questo modo si andava a soddisfare l’esigenza del bambino di manipolare oggetti grandi e piccoli per scoprirne le  caratteristiche . Froebel proponeva inoltre anche altre attività educative, quali il modellaggio della creta, il cucito, o altri lavori manuali ciascuno rispondente ad ogni stadio di sviluppo del bambino.


PEDAGOGIA: pag.304 domande

 


Pag. 304 domande

  1. La città era in questo periodo investita da diversi problemi tra cui per esempio risse, furti, prostituzione, fenomeno del vagabondaggio e richiesta di elemosine.
  2. In campo religioso spiccano nell’ambito cattolico le iniziative di Giovanni Bosco, Leonardo Murialdo, Ludovico Pavoni, Luigi Aiello e altri. Questi, come anche membri delle chiese protestanti, diedero vita a scuole, asili e orfanotrofi per i giovani. In campo laico invece furono importanti le iniziative avviate dai gruppi mazziniani e quelle della massoneria (Società di mutuo soccorso).
  3. Le pratiche educative della “pedagogia povera” tentavano di rispondere direttamente all’esigenze dei ragazzi: assistenza materiale, ospitalità, istruzione e avviamento al lavoro. Si tendeva dunque a far prevalere l’interesse generale su quello personale e l’approccio era affidato alla consuetudine di premi e castighi da parte dell’educatore. Si trattava dunque di una pedagogia efficace sul piano pratico ma povera in termini di elaborazione teorica.
  4. Gli obiettivi dei laici per quanto riguarda la cultura educativa puntavano ad una società deconfessionalizzata che riduceva la fede religiosa ad un’esperienza della sfera personale.

PEDAGOGIA: Celestin Freinet

  Celestin Freinet pensa ad una “nuova società” e ad un “nuovo uomo”. Questa immagine si basa sulla valorizzazione delle risorse personali d...