domenica 8 novembre 2020

SOCIOLOGIA: il lavoro e la razionalizzazione


 L’esistenza delle persone nella nostra società si basa sul lavoro: l’attività lavorativa svolge un ruolo di primo piano nella vita personale e in quella collettiva. Negli ultimi due secoli il lavoro è stato al centro di un imponente processo di razionalizzazione, un aspetto che potrebbe essere definito utilizzando diverse accezioni del termine: innanzitutto per definire la razionalizzazione potremmo parlare di coordinamento degli sforzi. Ogni prodotto che acquistiamo infatti è il risultato dell’azione coordinata di molte persone, le quali sommano le loro diverse competenze al fine di rendere disponibile al consumo un determinato prodotto. Inizialmente due o più persone collaboravano nello stesso modo alla medesima operazione, mentre oggi in quella che definiamo la società moderna, i soggetti non solo si occupano di cose diverse ma svolgono i loro compiti in maniera da cooperare tra loro.

Razionalizzazione del lavoro è poi semplificazione di esso stesso: durante i secoli XVIII e XIX il lavoro è andato ad inserirsi all’interno di una struttura organizzativa più rigida ed è dunque è stato scomposto in operazioni più facili ed elementari. 

Razionalizzazione è infine sinonimo di standardizzazione e organizzazione, consistenti nello far svolgere il medesimo compito a tutti, rendendo dunque ciascun operaio facilmente sostituibile da un altro e nel coordinare le attività degli operai con il funzionamento dei macchinari. L’organizzazione del lavoro fu inizialmente realizzata ad opera di Frederick Taylor e Henry Ford, inventori della catena di montaggio. I due divisero i lavoratori del settore industriale in operai generici e “uomini di valore”. L’uomo di valore era colui che riusciva a integrarsi bene nelle circostanze entro cui il lavoro stesso si svolgeva, sottostando alle regole imposte da esso stesso. I lavoratori erano quindi semplici esecutori materiali dei compiti che venivano loro attribuiti. 

Il processo di razionalizzazione del lavoro ha influito positivamente sulla società occidentale, permettendo il raggiungimento di un più alto grado di benessere oltre che la possibilità per tutti di condurre un’esistenza più stabile, con stipendio fisso, tempo libero e possibilità di accedere ai beni di consumo. Al tempo stesso ha però sollevato diversi aspetti problematici, analizzati in modo particolare da Karl Marx. Innanzitutto secondo Marx l’aumento della produttività andava a vantaggio unicamente dell’imprenditore e non della collettività; inoltre la divisione del lavoro, diveniva fonte di disuguaglianza sociale, infatti contrapponeva la classe degli imprenditori a quella dei proletari, i quali erano costretti ad accettare salari sempre più bassi e mansioni manuali ripetitive e meccaniche. La razionalizzazione richiedeva inoltre l’impiego di personale poco qualificato, andando così a contribuire ad un impoverimento professionale: gli individui venivano infatti considerati parti di una macchina.

Da quest’ultima constatazione di Marx nasce il concetto di alienazione: con tale termine si intende la condizione di estraneazione che l’operaio del settore industriale prova nei confronti del prodotto del proprio lavoro. L’operaio infatti, essendo responsabile unicamente di una parte del prodotto finale, è privato del senso complessivo del suo lavoro. Nel corso del XX secolo si è cercato di porre una soluzione a questo problema, con l’invenzione di macchine automatiche come i robot. Alle macchine vengono affidati tutti i compiti ripetitivi, lasciando al lavoratore le mansioni più intellettuali ed importanti. L’automazione ha dunque portato alla nascita di nuove professioni tra cui analisti dei sistemi, esperti di programmazione e specialisti del trattamento dei dati, d’altra parte però ha contribuito ad un forte aumento della disoccupazione.

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