mercoledì 7 ottobre 2020

PEDAGOGIA: educazione nel biennio rivoluzionario e nel periodo napoleonico

 




Con la fine dell’antico regime, quindi nel biennio che intercorre tra il 1792 e il 1794, si svolse un intenso dibattito sull’istruzione, in particolare relativamente al tema della riforma del sistema scolastico. Ad alimentare il dibattito furono innanzitutto gli Ideologues, ovvero quella generazione di uomini di cultura e scienziati successiva quella dei philosophes. Tale dibattito segnò il distacco dal passato: i governi rivoluzionari sancirono per la prima volta tra i diritti dell’uomo alcune prerogative dell’infanzia, reputate inalienabili. Anche in Francia prendeva dunque piede il concetto di educazione popolare: vi era una nuova concezione di cittadino e di Stato, ma anche di uomo, inteso come soggetto portatore di diritti. Il primo tra i diritti era appunto quello all’istruzione e all’educazione, rese obbligatorie per tutti con la creazione di scuole elementari in tutti i comuni. In realtà a livello pratico i cambiamenti furono esigui, ma il modello educativo proposto dalla rivoluzione divenne un punto di riferimento per le riforme scolastiche di carattere generale. 

Particolarmente interessante in questo periodo è il cambiamento della visione del bambino, il quale venne infatti idealizzato ed eletto a simbolo della purezza e dell’innocenza. I bambini diventarono dunque la speranza per il futuro della Repubblica venendo coinvolti in lavori manuali ed esercizi fisici oltre alla normale preparazione di base fornita dalla scuola. 

Diversi cambiamenti si verificarono relativamente all’assistenza all’infanzia dei bambini abbandonati e agli orfani, oltre all’introduzione di nuove norme per tutelare le madri nubili: solo l’educazione familiare poteva garantire un’adeguata formazione morale ed era perciò necessario prevenire l’abbandono aiutando le famiglie povere elargendo loro del denaro. L’apice dell’assistenza all’infanzia si raggiunse il 18 agosto 1792 con la promulgazione di una legge sull’adozione: poche famiglie erano disposte però ad adottare realmente bambini abbandonati, la mentalità popolare era infatti ancora arretrata. 

Spettava dunque lo Stato il compito di provvedere agli orfani, la nazione di veniva simbolicamente la madre dei bambini abbandonati, cercando di garantire a tutti i fanciulli l’uguaglianza dei diritti. Essi erano infatti i simboli evidenti della loro fratellanza sociale e dell’uguaglianza giuridica dei cittadini. L’infanzia venne presa come modello di virtù morale: i bambini prendevano quindi parte a tutte le feste e le processioni rivoluzionarie simbolo della Francia rivoluzionaria. Partecipavano vestiti di bianco alle processioni, raccolti in battaglioni, abituati sin da piccoli ad essere cittadini-soldati. 

Tali concetti erano alla base di un progetto pedagogico utopico e totalitario il cui scopo era quello di introdurre i valori repubblicani. Unicamente lo Stato poteva dunque allevare i bambini alle virtù civili, poiché la famiglia era responsabile di un’educazione corruttrice. Venne quindi praticata la sostituzione dello Stato alla famiglia relativamente all’educazione e all’istruzione dei fanciulli che doveva essere nazionale, uniforme e obbligatoria. Tutti i bambini dai 5 ai 12 anni sarebbero stati educati in comune e avviati al lavoro eccetto i più meritevoli, l’obiettivo della nazione era quello di formare l’“uomo nuovo“, un vero repubblicano lavoratore e moralmente integro. 


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