martedì 13 ottobre 2020

THE EXPERIMENT



 Il taxista e reporter Tarek Fahd partecipa ad un esperimento di Psicologia nel quale, per un periodo di due settimane, dei volontari dovranno impersonare guardie e detenuti in una finta prigione per un test attitudinale, in cambio di soldi. Vengono formate così due squadre, una di 8 “guardie” e l’altra di 12 “prigionieri” che devono rispettare alcune regole, elencate dal Professor Thon: niente violenza,  i cibi vanno consumati per intero, rinuncia alla privacy per i prigionieri e impegno nell'impersonificazione del proprio ruolo. Fin da subito si forma, nei membri delle due squadre, un processo di identità di gruppo e di de-responsabilizzazione personale: il rapporto tra guardie e prigionieri entra in una escalation, sempre più drammatica, di vendette, punizioni e ripicche  (in tal senso sono significative le figure di Tarek, che interpreta un prigioniero e di Berus, che è invece una guardia). L'apice si raggiunge nel momento in cui le guardie, evitando le telecamere, riescono anche a violare la regola della non-violenza, attuando punizioni e sevizie, soprattutto nei confronti di Tarek. L'esperimento non viene interrotto in tempo, nonostante le titubanze dei professori, portando addirittura alla morte di uno dei prigionieri. 

Il film è basato sugli eventi riguardanti l’esperimento carcerario di Stanford, condotto nel 1971 dallo psicologo statunitense Philip Zimbardo.

L'esperimento, condotto  da un team di ricercatori diretto dal professor Philip Zimbardo della Università di Stanford, prevedeva l'assegnazione, ai volontari che accettarono di parteciparvi, dei ruoli di guardie e prigionieri all'interno di un carcere simulato. I risultati ebbero dei risvolti così drammatici da indurre gli autori dello studio a sospendere la sperimentazione.

Zimbardo riprese la teoria della deindividuazione, la quale sostiene la perdita di autoconsapevolezza e autocontrollo che si sperimenta in determinate situazioni nelle quali l'individuo si trova ad agire all'interno di dinamiche sociali e di gruppo. I risultati di questo esperimento sono andati molto al di là delle previsioni degli sperimentatori, dimostrandosi particolarmente drammatici. Dopo solo due giorni si verificarono infatti i primi episodi di violenza, umilliazione e ribellione che portarono a situazioni tanto pericolose e spiacevoli da costringere gli sperimentatori a bloccare l'esperimento dopo appena 5 giorni. 

Secondo l'opinione di Philip Zimbardo, la prigione finta, nell'esperienza psicologica vissuta dai soggetti di entrambi i gruppi, era diventata una prigione vera: il fatto di assumere un ruolo istituzionale, induce ad assumere le regole dell'istituzione come unico valore a cui il comportamento deve adeguarsi. Il processo di deindividuazione induce quindi a una perdita di responsabilità personale che indebolisce i controlli basati sul senso di colpa, implicando una diminuita consapevolezza di sé, e un'aumentata identificazione nel gruppo. 

Le tesi alla base di questo esperimento vengono analizzate da Zimbardo in un suo saggio intitolato "L'effetto Lucifero": questo termine viene utilizzato per indicare il processo per cui l'aggressività è fortemente influenzata dal contesto in cui l'individuo si trova. L'aggressività non è dunque da ricondurre unicamente a fattori interni all'individuo, ma va ridefinita sulla base dell'ambiente. 


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