mercoledì 30 settembre 2020

PEDAGOGIA: Itard e “Il selvaggio dell’Aveyron”

 



Differenti rispetto a quelli di Richter furono gli interessi di Jean Marie Gaspard Itard, medico presso l’Istituto per sordomuti di Parigi. Itard si concentrò soprattutto sull’infanzia e la sua educabilità in modo originale: in tal senso risultò particolarmente significativo il ritrovamento di un ragazzo allo stato animale nei boschi dell’Aveyron. Il ragazzo, soprannominato Victor, era privo di educazione e manifestava unicamente bisogni di tipo fisico. Studiandone i comportamenti, Itard desiderava rispondere a una delle domande che da sempre avevano interessato i filosofi dell’Ottocento: chi è l’uomo allo stato di natura?. Per rispondere a tale quesito, trasferì il ragazzo all’Istituto per sordomuti di Parigi, così da potersi occupare personalmente della sua educazione. Victor non era però in grado di stare al passo con i compagni, in quanto gli mancavano le competenze di base e il suo sviluppo cognitivo era assai limitato. Il medico si convinse dunque che il ragazzo fosse affetto da una grave forma di ritardo evolutivo e decise quindi di applicare su di lui i metodi della pedagogia sensista trattandolo come un bambino di 10 mesi. Il ragazzo veniva dunque allenato ad esercitarsi nell’uso dei sensi e delle facoltà cognitive: se nei primi mesi riuscì a raggiungere significativi progressi, questi si interruppero nel momento in cui egli dovette iniziare ad apprendere le competenze astratte (linguaggio). Itard verificò allora empiricamente l’impossibilità di fornire ad un essere umano gli insegnamenti non ricevuti al momento opportuno: nel momento in cui un bambino non dispone di stimoli adeguati durante i primi anni di vita, perde per sempre la possibilità di sviluppare le proprie capacità cognitive. Itard conferma dunque come l’uomo allo stato di natura non sia perfetto e che senza la società egli è un animale incompiuto. Il suo apporto quello di Richter furono particolarmente significativi per la costruzione della scienza pedagogica moderna: contribuirono a rendere più articolata la conoscenza dei primi anni di vita del bambino svelandone potenzialità e caratteristiche e dimostrando il ruolo chiave dell’educazione, oltre che dell’emotività e dell’affettività, fondamentali nell’attività educativa.

PEDAGOGIA: Johann Paul Friedrich Richter

 





Nel corso dei primi decenni dell’Ottocento, due correnti di pensiero e di ricerca si fronteggiavano tra loro: la prima era ispirata ad una concezione romantica dell’infanzia, mentre la seconda era incentrata sulla componente organica e psichica dell’uomo e si sviluppò soprattutto in ambito medico. Entrambi questi due differenti orientamenti fecero sì che la pedagogia potesse allargare i propri orizzonti, elaborando una nuova idea di infanzia e di educazione. Particolarmente importante in tal senso fu l’apporto di Johann Paul Friedrich  Richter, noto scrittore e romanziere tedesco. Tra le sue opere più importanti troviamo il saggio educativo intitolato Levana, che prende il nome dalla dea che nell’antica Roma tutelava il riconoscimento paterno del figlio appena nato. All’interno dell’opera, Richter crea un’atmosfera educativa concreta, fatta di situazioni plausibili, tramite le quali l’adulto viene guidato alla scoperta di se stesso oltre che del mondo infantile. Il saggio è ricco di empatia e norme concrete, sulle quali impostare una relazione basata su sentimenti di rispetto reciproci tra bambino e adulto. Richter seppe distinguersi soprattutto per la sensibilità e l’empatia che dimostrò di avere nei confronti del mondo infantile: il bambino veniva infatti da lui rappresentato come la speranza per il mondo di domani. Egli era inoltre l’unica creatura in grado di guardare la realtà nel modo giusto, ossia ingenuamente e con ottimismo. Il modello di Richter fu Rousseau, per la crescita del bambino infatti erano necessari soprattutto delle condizioni favorevoli, le quali dipendevano in gran parte dagli adulti. I bambini venivano dunque visti come la garanzia per un mondo e un futuro migliori e perciò venivano definiti “Educatori degli educatori”, a causa della loro purezza e spontaneità.

lunedì 21 settembre 2020

SOCIOLOGIA: la socializzazione

 


Ogni individuo è fin dalla nascita inserito in un mondo sociale, nel quale deve imparare a muoversi e con cui deve costantemente rapportarsi. Il processo che garantisce la riuscita di tale integrazione è il processo di socializzazione, tramite cui l'individuo sviluppa una forma di conoscenza sociale senza la quale la vita in società risulterebbe impossibile. Per inserirsi all'interno di una società, è necessario comprenderne le regole: organizzazione strutturale, usanze, credenze e cultura. Tale processo coinvolge l'intera esistenza umana, infatti per tutta la vita l'individuo dovrà confrontarsi con l'insieme di ruoli, norme, aspettative sociali e strutture sociali che compongono la società stessa, acquisendo padronanza dei modelli comportamento da essa richiesti. Il processo di socializzazione è frutto da un lato dell'apprendimento, ossia di modificazioni del comportamento dovute al rapporto con l'esterno (altri individui; ambiente) e dall'altro lato dipende invece dal patrimonio genetico della persona: si possono pertanto distinguere nella socializzazione due differenti meccanismi, i meccanismi biologici e quelli culturali. I primi dipendono dall'intelligenza, dono naturale delle persone e dunque caratteristica psicologica innata, dalla quale dipende a sua volta l'apprendimento, che va però necessariamente accompagnato all'interazione con altri soggetti, solo in questo modo potrà infatti produrre effetti significativi. Per quanto riguarda invece i meccanismi culturali, essi si basano su concetti come quelli di "ricompensa" o "punizione": esse costituiscono una semplice modalità di socializzazione, che prevede il rinforzo di un comportamento considerato giusto e che si vuole far ripetere e contemporaneamente la punizione per l'azione della quale si vuol far comprendere la negatività. Significativi in tal senso sono peraltro i meccanismi di imitazione e identificazione, i quali consistono nella riproduzione di atteggiamenti di persone prese a modello (con le quali vi è generalmente un forte legame affettivo).

Tra gli scopi primari della socializzazione vi è la formazione di una propria identità personale: quest'ultima è a tutti gli effetti un prodotto sociale, in quanto è solo grazie alle interazioni sociali che l'uomo può formarsi un'idea di se stesso, con tutte le sue qualità e tutti i suoi limiti. Le fasi di tale processo di strutturazione dell'identità personale sono inoltre state oggetto di studio di George Herbert Mead, il quale, studiando le fasi del gioco del bambino, ha fatto emergere l'importanza dell'interiorizzazione della struttura sociale in cui l'individuo è calato ("l'altro generalizzato"). Nella prima fase per esempio, il bambino gioca imitando comportamenti visti dai genitori, senza comprenderne l'utilità; successivamente inizierà a sviluppare il "gioco libero", semplice e senza regole in cui assumerà i comportamenti degli "altri significativi" (mamma, papà, zio, zia, ecc); nella terza fase inizierà invece il "gioco organizzato", con regole precise, in cui i ruoli avranno significato indipendentemente da chi andrà ad esercitarli. Chiaramente il processo di formazione dell'identità personale non si ferma a questo punto: tutti i cambiamenti che l'individuo affronterà nel corso del suo ciclo di vita, contribuiranno a modificarne l'identità personale. 

Nel processo di socializzazione vanno inoltre distinte due fasi: la socializzazione primaria e quella secondaria. La socializzazione primaria riguarda tutte le competenze sociali di base e si forgia dunque nei primi anni di vita del bambino: egli impara direttamente dal suo esempio, ossia dagli adulti con cui entra in contatto e con cui stabilisce un legame emotivo. Questo processo è generalmente inconsapevole, infatti gli adulti tendono a socializzare i bambini indipendentemente dalla loro volontà. Per quanto concerne invece la socializzazione secondaria, essa avviene nella seconda fase della vita dell'individuo, ossia a partire dal momento in cui egli entra in contatto con realtà come la scuola o il lavoro, esterne dunque all'ambito familiare e necessitanti di competenze sociali più specifiche. 

PEDAGOGIA: Celestin Freinet

  Celestin Freinet pensa ad una “nuova società” e ad un “nuovo uomo”. Questa immagine si basa sulla valorizzazione delle risorse personali d...